Milano, inverno del 1929. L’Italia era piegata sotto il giogo fascista, e la censura soffocava ogni forma di libertà d’espressione. I fumetti, con i loro racconti di eroi mascherati e giustizia clandestina, erano considerati pericolosi. Troppe idee, troppe possibilità di ribellione. Ma in un seminterrato umido di via Adige, illuminato solo dalla luce tremolante di una lampada a petrolio, nasceva un rifugio segreto per chi non voleva smettere di sognare.
Si dice che fosse stato Alessandro Manzoni a fondare quello che sarebbe poi diventato Waste of Time. Non il noto scrittore, sia chiaro, solo un caso di omonimia. Questo Manzoni era un tipografo caduto in disgrazia, un uomo che aveva visto troppi amici sparire nel nulla per restare in silenzio.
Da ragazzo, la gente diceva che fosse un poco di buono, uno che perdeva tempo dietro a sciocchezze. Non voleva lavorare in fabbrica, non voleva seguire le regole, non voleva fare niente di “utile”. Si perdeva tra i vicoli di Milano, raccogliendo storie dai vecchi senzatetto e inventandosi mondi immaginari. Passava ore a scarabocchiare su pezzi di carta, mentre gli adulti scuotevano la testa e dicevano che non sarebbe mai diventato nessuno. Uno spreco di tempo.
Eppure, fu proprio il suo talento per il “tempo perso” a salvare le idee che il regime voleva cancellare. Nel seminterrato di via Adige, con una pressa rubata e una risma di carta scadente, Manzoni stampava storie proibite. Erano racconti di ribelli senza volto, mascherati con costumi spesso stravaganti, figure misteriose che sfidavano l’ordine costituito con audacia e ingegno. Ogni copia passava di mano in mano come un oggetto proibito, nascosto nelle tasche dei cappotti, infilato sotto le piastrelle di case sicure. I clienti arrivavano di notte, bussavano due volte e attendevano la risposta in codice: “Il tempo è perso solo per chi non sa come usarlo.”
Manzoni sapeva che non sarebbe durato per sempre. La polizia segreta fascista, l’OVRA, aveva occhi dappertutto. Nel 1942 fecero irruzione. Trovarono le macchine da stampa, i bozzetti, le storie proibite. Manzoni tentò la fuga, ma lo presero in un vicolo dietro Porta Romana.
Fu in quel momento che accadde l’imprevedibile.
I fascisti erano talmente brutti che Manzoni, guardandoli bene in faccia sotto la luce giallastra di un lampione, scoppiò a ridere. Non una risata nervosa, non un ghigno di sfida. Una risata vera, profonda, incontenibile.
Rise delle loro facce, delle loro divise ridicole, degli stivali troppo lucidi, delle espressioni serie e minacciose che li facevano sembrare caricature mal disegnate.
Rise così tanto che gli venne un infarto.
Cadde a terra, le lacrime agli occhi, ancora ridendo. I fascisti si guardarono tra loro, confusi e offesi. Nessuno aveva mai riso in faccia a loro così. Nessuno era mai morto per aver riso troppo di loro. Ma Manzoni sì. Se ne andò così, tra le sue stesse risate, lasciandoli lì impalati, troppo increduli o troppo stupidi per capirne il senso.
Ma Manzoni aveva previsto tutto, o quasi. Non è che aveva proprio previsto che sarebbe morto di risate ai piedi delle guardie. Ma qualche giorno prima di morire, consegnò una busta chiusa ad una sconosciuta che la custodì per parecchi anni, donandola a sua volta, poco prima di trapassare all’infermiera dell’Ospedale Maggiore, poi, di questa lettera, se ne persero le tracce.
Quel segreto passò probabilmente di mano in mano, tramandato tra sconosciuti per anni, fino ad arrivare, si dice, all’attuale proprietario della fumetteria.
Un tizio che non c’entra nulla con quel bel simpatico ragazzo barbuto con gli occhiali che oggi gestisce l’attività e che potete trovare spesso da WoT.
Sembra che il vero proprietario viva in Canada e abbia un’abilità insolita: può trasformarsi in un crotalo, o meglio, in un Krotalo, come lo pronunciano da quelle parti, con la K un po’ più spinta.
Ma questa è un’altra storia (inventata) e ve la racconteremo un’altra volta